Per le aziende, l’importanza di essere presenti sui Social Network è ad oggi indubbia. Tuttavia, recentemente l’azienda italiana del fashion luxury Bottega Veneta, appartenente al gruppo Kering, ha deciso di eliminare i suoi profili aziendali su Facebook, Instagram e Twitter. Non ci sono notizie ufficiali in merito alle reali motivazioni, ma rifacendoci anche ad iniziative affini da parte di altri brand, cercheremo di darne una possibile interpretazione.
I rapporti tra luxury e digital
Il difficile periodo vissuto durante la pandemia, ha inevitabilmente trasformato la comunicazione delle più importanti Maison del lusso. Soprattutto del settore fashion, le aziende si sono interfacciate in maniera innovativa al mondo digitale ed a quello Social. Nonostante alcuni notevoli risultati, questo approccio disruptive ha infranto i ritmi lenti richiesti dal mondo del lusso.
Dal giorno 5 Gennaio 2021, cercare il brand Bottega Veneta sui Social Network offre un solo risultato: “pagina non trovata o inesistente”.
Questa scelta ha spiazzato sia affezionati del brand che marketers esperti.
La scelta non dovrebbe però risultare così agghiacciante: il lusso è un settore unico. Come enunciato da Jean-Nöel Kapferer e Vincent Bastien nel libro “Luxury Strategy”, questo settore segue delle regole che sono “anti-marketing”: atemporalità e controllo totale su tutta la catena del valore, sono due dei principi chiave delle scelte strategiche.
La comunicazione di Bottega Veneta sui Social Network
La comunicazione adottata da Bottega Veneta sui Social Network è sempre stata mirata ad alimentare “il sogno dell’accessibilità”. Le immagini degli iconici prodotti adornavano il Feed di Instagram, mentre le Stories erano arricchite da messaggi legati a valori culturali.
Daniel Lee, direttore creativo di Bottega Veneta, non ha mai nutrito un buon rapporto con i Social Network. Oltre a non avere un suo profilo personale su Instagram, ha dichiarato in un’intervista per Cultured Magazine quanto segue:
“Alle volte guardo Instagram ed i Social Media, ma credo che farlo troppo possa essere piuttosto pericoloso e dannoso per il processo creativo. Tutti che guardano la stessa cosa non è sano o produttivo. Non fermenta l’individualità”.
Daniel Lee, Creative Director di Bottega Veneta
Partendo da queste affermazioni, andiamo ad analizzare due principali motivi che potrebbero aver spinto l’azienda a prendere questa decisione. In seguito, vedremo che non è stata l’unica.
La strategia dell’assenza: quando il silenzio fa rumore
Nelle loro scelte strategiche, i brand del lusso devono bilanciare la loro comunicazione in un equilibrio di presenza-assenza.
Per un brand, scegliere di allontanarsi da uno spazio affollato dai messaggi dei concorrenti, è una mossa che consente sia di mantenere un importante carattere di esclusività, sia di creare un ecosistema di comunicazione dove sono gli altri a parlare di te.
Bottega Veneta si è da sempre distinta per la “sofisticata eleganza”: per essere elegante, devi essere silenzioso. Questo si rispecchia nei suoi iconici prodotti: la “no-logo strategy” permette al brand di essere riconosciuto “solo” grazie al distintivo intreccio o la classica catena dorata insiti nel DNA della griffe.

Silenziosa è stata anche la presentazione della collezione primavera/estate 2021, dove la sfilata “Salon 01” è stata definita come segreta perché il numero degli invitati era ristrettissimo.

L’ipotesi del “far parlare agli altri di sé” risulta quindi coerente con la visione generale dell’azienda. Tuttavia la stessa coerenza non si riscontrerebbe su scala globale: Bottega Veneta, infatti, è ancora presente sui Social Network come Weibo e WeChat. Se è vero che questi siano i principali generatori di volumi d’affari del mercato asiatico, si potrebbe pensare che ci sia un secondo motivo che allontani il Brand dai Social. Lo approfondiamo di seguito.
Tracciamento dei dati: ancora poca chiarezza
In seguito allo scandalo di Cambridge Analytica, è diventato una priorità fare chiarezza sul modo in cui le piattaforme Social tracciano ed utilizzano i dati degli utenti. All’appello della Federal Trade Commission sembra non essere sfuggita nessuna grande azienda: TikTok, Facebook, Amazon, Twitter, Snap Inc., Whatsapp, Reddit, Discord e Youtube (di Google).
Secondo un report di GlobalWebIndex, almeno due-terzi degli intervistati si dimostrano preoccupati del modo in cui i dati vengono usati dalle piattaforme di Social Media. Se l’obiettivo dei brand è quello di costruire una relazione con i propri clienti che sia basata sulla fiducia, questi dati non possono passare inosservati.

Tuttavia, sappiamo bene che collezionare i Big Data sia essenziale per le grandi aziende, soprattutto nei rapporti one-to-one volti ad offrire esperienze senza eguali, servizi iper-personalizzati o effettuare un’ iper-targetizzazione.
Il vero problema nasce quando in questa relazione tra brand e cliente viene coinvolta una terza parte: la piattaforma di Social Network. È necessario che il rapporto con queste Società ospitanti sia trasparente riguardo all’utilizzo dei dati condivisi e che garantisca sicurezza per gli utenti.
Il lusso non deve mai scendere a patti con le altre piattaforme: perdere il controllo sui dati dei propri clienti non è ammissibile.
Questa seconda ipotesi deriva da un messaggio che arriva forte e chiaro. Il comportamento descritto non è nuovo: negli anni passati, altri brand hanno deciso di ribellarsi alle piattaforme di Social Network per svariati motivi. Di seguito ne riportiamo alcuni esempi.
Funziona usare il digital-detox come forma di protesta?
Una delle principali forme di guadagno dei Social Network è generata attraverso le Ads. I brand conoscono bene questa informazione: per questo, quando le piattaforme non rispettano il loro codice etico, intervengono per dare dei segnali d’allarme.
L’Oréal suona un campanello d’allarme per TikTok
L’azienda leader nel mondo della cosmetica L’Oréal, nel mese di Luglio 2020 ha dichiarato di voler tagliare il budget pubblicitario speso su TikTok. Il CEO Jean-Paul Agon ha affermato di voler monitorare il comportamento della piattaforma, mostrandosi attivo nel fare tutto il necessario per rispettare il codice etico aziendale.
“Non vogliamo di certo collaborare con App che mostrano problemi di privacy”.
Jean-Paul Agon, CEO di L’Oréal
LUSH contro l’algoritmo di Instagram
Anche LUSH, azienda di cosmetici naturali fatti a mano, ha usato la strategia dell’assenza sui social già nel 2019. Stanca di lottare contro l’algoritmo di Instagram, la pagina decide di fare turn-off dal suo profilo che in quel momento contava più di 560k follower.
“Siamo stanchi di lottare con gli algoritmi, e non vogliamo pagare per apparire nel vostro Feed. Siamo una community e sempre lo siamo stati. Crediamo che possiamo fare più rumore usando tutte le nostre voci attorno al globo perché quando lo facciamo guidiamo al cambiamento […]. Vogliamo che i social parlino più di passioni e meno di likes.”
Pagina ufficiale @lush su Instagram
La scelta è durata poco più di una settimana, ma ancora ad oggi i suoi follower ricordano il gesto coraggioso.
Unicredit Banca tutela i dati degli utenti
Sempre nel 2019, fa sentire la sua assenza dai Social Network anche Unicredit Banca, che ha eliminato i suoi canali Facebook e Instagram per proteggere i dati dei clienti. Complice della scelta, anche la scarsa educazione digitale degli utenti, difficile da monitorare quando gli stessi, per chiedere assistenza all’azienda, condividevano i propri dati sensibili tra i commenti dei post aziendali.
Sospendere le Ads per protesta: il boicottaggio di Facebook
Per ultimo, diverso ma degno di nota è il caso “Stop Hate for Profit” , movimento che ha coinvolto più di 1200 aziende tra cui Coca-Cola, Unilever, Levi’s e The North-Face. Con l’intenzione di boicottare Facebook, le aziende hanno interrotto la loro spesa pubblicitaria sulla piattaforma. Il motivo della rabbia era dovuto alla stanchezza di veder associati i propri contenuti sponsorizzati accanto ad alcuni contenuti razzisti o violenti.

Sebbene nei casi citati le aziende abbiano conquistato importanti passi in avanti, l’eliminazione dei profili aziendali dai Social Media o il boicottaggio delle stesse non è una strategia efficace e dai grandi risultati. Almeno, non per tutti.
Essere o non essere sui Social Network?
Conosciamo bene i numerosi vantaggi per un’azienda di essere presente sui Social Network: ascoltare il proprio pubblico, comunicare in modo diretto, aumentare l’awareness, trovare la propria nicchia sono solo alcuni tra questi.
Tuttavia, in uno spazio in cui tutti cercano con affanno di far rumore per farsi notare, forse ciò che fa più parlare è il silenzio. Concorda anche Seth Godin, che in occasione del lancio del suo libro Questo è il Marketing, rilasciò un’intervista al Sole24Ore dichiarando quanto segue:
“Dobbiamo far scendere i brand dalla giostra dei social media, che va sempre più veloce, ma non arriva mai da nessuna parte. È giunto il momento di smettere di convincere con insistenza e di disturbare o fare spamming, fingendo di essere i benvenuti. Siamo in una fase storica accelerata che non ammette però scorciatoie e occorre concentrarsi su un percorso lungo e sostenibile, tornare all’autenticità, che passa necessariamente dalle esperienze. A meno che tu non stia vendendo teoremi matematici, stai vendendo emozioni. D’altronde siamo umani, non cyborg. Almeno per ora”
Seth Godin, imprenditore ed Autore
Ciò che è certo, è che i brand devono avere coraggio. Ad oggi, operare nel mercato non funziona se ci si limita ad adeguarsi alle circostanze come dei semplici ingranaggi di una macchina. Bisogna sempre agire secondo la propria etica e la propria visione: quando il brand sceglie di essere sulla piattaforma, deve essere in grado di poter adottare le proprie condizioni.
Solo il tempo ci dirà se la scelta presa da Bottega Veneta sia stata giusta o sbagliata. Nel frattempo, altri brand dimostrano il loro “coraggio” in modo totalmente differente. In un altro articolo abbiamo parlato degli influencer virtuali, personalità generate dall’Intelligenza Artificiale che hanno stretto collaborazioni anche con Prada e Ferragamo.
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