Il termine personal branding si riferisce a tutte quelle attività messe in atto con la finalità di costruire la propria immagine pubblica online e offline.
Fare personal branding significa raccontare sé stessi, costruendosi una reputazione salda che possa trasmettere i propri valori, obiettivi e capacità.
Al giorno d’oggi, in molti attuano strategie di personal branding: piccoli e grandi creator, aziende, star, influencer e potenzialmente anche il tuo vicino di casa.
Vediamo insieme quali sono le best practices da seguire per costruire il proprio, focalizzandoci su alcuni esempi di personal branding di successo e fallimentari.
Cos’è e a cosa serve il personal branding?
Il personal branding è l’attuazione di una strategia che permetta di definire la propria immagine esaltando qualità e punti di forza: si cerca di presentare se stessi proprio come una marca.
Quindi se il brand rappresenta l’immagine del prodotto, il personal branding è l’immagine di noi che vendiamo a livello personale.
“Il tuo brand è ciò che dicono di te quando non sei nella stanza.
Jeff Bezos, CEO di Amazon
Il tuo personal branding è il motivo per cui le persone ti scelgono quando devono acquistare, scegliere un consulente o anche decidere se accettare una cena.
Il brand è da sempre il motivo per cui i consumatori comprano determinati servizi rispetto ad altri, gli utenti social amano un determinato personaggio piuttosto che un altro, un datore di lavoro sceglie te rispetto al tuo compagno di corso all’università.
La percezione è un elemento chiave nel processo decisionale
Le scelte non seguono un ragionamento razionale: i nostri interlocutori non hanno la possibilità o le capacità di considerare tutti gli elementi in gioco nel processo decisionale.
È importante la percezione che gli altri hanno di noi, del nostro personaggio o del nostro servizio, perciò è fondamentale il modo in cui ci si presenta al mondo.
Adottare strategie di personal branding serve dunque a:
- Sviluppare e far conoscere la propria identità;
- Differenziarsi dai competitor;
- Creare relazioni con il proprio pubblico;
- Fidelizzare il proprio pubblico.
Per fare in modo che gli sforzi di una strategia di personal branding siano efficaci è inoltre importante costruire un’immagine di sé che sia:
- autentica, senza aver timore di mostrarsi per ciò che siamo, con pregi e difetti;
- coerente, con il proprio modo di essere e rispetto alle effettive competenze possedute;
- idonea, rispetto al contesto sociale in cui ci si presenta (ad un colloquio di lavoro si tenderà ad usare un tone of voice formale; sui social si tende ad essere più informali e presentarsi in modo differente).
Il concetto cardine è quello di presentarsi in modo veritiero e genuino: ciò migliorerà la ricezione del messaggio, la percezione di qualità e le interazioni con la nostra figura o prodotto.
Quando fare personal branding?
Fai personal branding quando devi fare colpo: come ad un colloquio di lavoro, quando alla fatidica domanda “Mi parli di lei” arriva il momento di mettere in luce le proprie qualità e valori.
Fanno personal branding freelance o creator alle prime armi, quando hanno bisogno di farsi conoscere e sono nella fase di posizionamento.
Ma in generale non bisogna sottovalutarne la potenza, anche ad alti livelli: lo dimostrano i Ferragnez che, nonostante siano tra le persone ad oggi più famose, hanno da poco lanciato la serie “The Ferragnez” su Amazon Prime.
O ancora: Dua Lipa, che da poco ha annunciato il lancio di Service95.
Ma perchè farlo se le persone già ti conoscono? Vediamo meglio insieme questi due casi.
The Ferragnez: la serie su Amazon Prime
La coppia più popolare del Web diventa una serie TV: lanciata il 9 dicembre 2020, la serie racconta i Ferragnez come forse non li abbiamo mai visti.

Il personal branding dei Ferragnez: da Instagram ad Amazon Prime
Chi segue Fedez e Chiara Ferragni, rispettivamente 13 e 26 milioni di followers solo su Instagram, sa molto bene che i due sono soliti condividere sui social molti aspetti della loro vita.
Tramite un racconto assiduo della loro quotidianità, i Ferragnez hanno costruito un’immagine di loro percepita come veritiera dai fan: mentre Chiara sembra essere più impostata, anche in veste del ruolo di imprenditrice che ricopre, il marito Fedez risulta invece più impulsivo nel genere di contenuti che pubblica, in ragione di una personalità più esplosiva e goliardica. Rapper, produttore, Influencer ma potremmo dire anche intrattenitore.
La comunicazione deve essere reale
Sono numerosi i video di carattere scherzoso, dove gioca con i figli o prende in giro la moglie.
I figli della coppia, Leone e Vittoria, sono diventati “figli del popolo di Instagram”.
Entrambi, infatti, hanno reso partecipi i fan dal giorno 0: l’annuncio della gravidanza, le ecografie, i primi passi di Leone o le prime parole di Vittoria.
Ai contenuti simpatici di puro intrattenimento, si affiancano contenuti di carattere sociale: ricordiamo come la coppia si sia spesa più volte con iniziative di beneficenza e di supporto alla comunità locale, oppure i numerosi appelli che Fedez ha sollevato riguardo al tema DDL Zan.
Possiamo definire quella di Fedez una comunicazione diretta, senza peli sulla lingua e senza paura delle conseguenze: sono questi alcuni degli elementi che lo rendono “reale” agli occhi del pubblico; è percepibile dal tono di voce e dalla spontaneità dei suoi appelli che crede in ciò che fa.
The Ferragnez: il lancio della serie
Nonostante la loro già forte presenza sui social, I Ferragnez hanno voluto rendere partecipe e fidelizzare il proprio pubblico oltre ogni limite con il lancio di una docu-serie.
La serie non vuole essere una promo di tutti i loro successi, bensì mira a fornire un’immagine senza filtri della famiglia Ferragnez, volendo mettere in luce la separazione tra “personaggi” e “persone”. Ad enfatizzare questo è proprio la scena iniziale, che farà poi da filo conduttore a tutta la serie.
Le riprese iniziano con una seduta dallo psicoterapeuta: quale modo migliore per mettersi completamente a nudo se non quello di aprire le porte alle telecamere ad una seduta di terapia di coppia?
Oltre che normalizzare e sfatare il “tabù” della terapia, questa modalità di racconto ha fatto emergere diversi dei problemi di carattere personale e familiare che la coppia affronta. Si sono mostrati vulnerabili.
Parlare di sé e far parlare di sé
Non è tutto oro ciò che luccica: è questo che la serie vuole esaltare, mostrando il “dietro le quinte” di quelli che sono i contenuti postati sui Social Media.
Secondo le analisi di Talkwalker, la serie TV “The Ferragnez” si aggiudica la prima posizione tra le serie offerte via streaming, per le interazioni sui social, con un totale complessivo di 8.429.100 interazioni in poco più di 30 giorni, la quasi totalità su Instagram. Supera addirittura il successo della Casa di Carta, che registra 6.684.000 interazioni totali.
I Ferragnez hanno dunque parlato di loro e fatto parlare di loro, con l’auspicio di avvicinare e fidelizzare ulteriormente la loro fanbase.
Dalla loro strategia possiamo ricavare qualche caratteristica fondamentale che ha sicuramente aiutato a garantirne il successo: autenticità, quotidianità, esaltazione anche di punti di debolezza.
Il personal branding di Dua Lipa
Dua Lipa, una tra le popstar più amate del momento, annuncia il lancio di Service95: si tratta di un servizio sotto forma di newsletter e podcast settimanali, all’interno dei quali saranno raggruppati consigli di lifestyle.
L’annuncio è stato rilasciato dalla cantante in un’intervista a Vogue e tramite Instagram, dove è stata creata una pagina appositamente dedicata.
La pagina, aperta dal 19 novembre, conta solo due post e 45,9 mila followers che sono già pronti a seguire l’evoluzione di questo nuovo progetto.
Per Dua Lipa, Instagram è un blog personale
Tramite un video, Dua Lipa ci spiega come nasce e come si articolerà il nuovo servizio.
Racconta che ha sempre considerato Instagram come un luogo dove poter sviluppare una sorta di “blog sulla sua vita”.
Dando una rapida occhiata alla pagina personale di Dua Lipa vediamo infatti come la pop star sia solita a condividere tratti della sua quotidianità, mostrandosi sempre in modo naturale e ironico.
Una modalità un po’ inusuale di presentarsi, per un’artista del suo calibro, da cui ci si potrebbe aspettare un feed Instagram curato, con foto professionali, shooting fotografici e così via.
Il feed Instagram di Dua Lipa
Troviamo foto di tutti i giorni, senza ritocchi o filtri di qualsiasi tipo, alcune sfocate, che la ritraggono a cena con gli amici, a party di vario genere, in casa da sola o in compagnia di amici: accanto a qualche foto un po’ più posata, troviamo quel genere di foto con espressioni stupide e divertenti che mandiamo in privato ai nostri amici.
Una strategia quasi mirata a ricordarsi che prima che essere pop-star, Influencer e dettatrice di tendenze è una spensierata ragazza di 26 anni.

Questo volersi mostrare sempre più “natural” è stato accentuato soprattutto negli ultimi mesi. Forse proprio in vista del lancio di Service95 che, ci racconta la cantante, “sarà un sito web dove la gente potrà cercare davvero qualsiasi cosa”.
Service95: che cos’è?
Service95 sarà il mezzo con cui la cantante potrà raccontarsi al 100%, con la volontà di creare una relazione ancora più stretta con il suo pubblico attuale ed espandere ulteriormente il suo raggio d’azione.
La piattaforma raccoglierà consigli in merito al mondo del fashion, del beauty, ma non solo: tramite la piattaforma, la cantante offrirà anche recensioni di libri, film, serie TV, luoghi da visitare e molto altro.
Si tratta di una modalità di coinvolgimento del pubblico, oltre che un modo di raccontare di sé. E quale modo migliore di farlo, se non parlando delle cose che ti piacciono?
Dua Lipa trasferisce il suo personal branding a Service95, e viceversa
L’artista sottolinea inoltre che Service95 non sarà solo un servizio per i suoi fan e un mezzo di intrattenimento, ma è un servizio anche per la società in quanto si parlerà anche di temi e problemi globali e sociali, con la presenza di importanti “Global voices”.
Dua Lipa va dunque ad associare la propria immagine anche a tematiche sociali di interesse della collettività, quali potrebbero essere temi politici, di uguaglianza e di sostenibilità. In questo modo sarà inevitabilmente trasferita sulla sua figura un forte valore aggiunto.
Si tratta sicuramente di una mossa interessante sia dal punto di vista del content marketing che del personal branding.
Anche in questo caso vediamo come autenticità e ironia siano ingredienti fondamentali per creare relazioni e suscitare empatia nel proprio pubblico, con il fine ultimo di riuscire a coinvolgere e incentivare le interazioni, online e offline.
Quando il personal branding non funziona? Alcuni esempi
C’è da dire che fare personal branding non è proprio alla portata di tutti: bisogna sapersi raccontare con le giuste tattiche e sapersi vendere senza inganni, rimanendo coerenti con i propri valori, idee e i propri prodotti.
Non è sufficiente “raccontarsi bene” per costruire la propria immagine, ma la coerenza è un pilastro fondamentale. Ciò che diciamo e raccontiamo di noi stessi deve essere percepibile dal nostro pubblico e da chi ci ascolta, nonché supportato e accompagnato da azioni concrete.
Le bugie hanno le gambe corte e, soprattutto ad alti livelli, è facile fare uno scivolone e una caduta di stile, che ha tutte le potenzialità di ripercuotersi sull’immagine costruita fino a quel momento.
Ce lo ha recentemente dimostrato il tennista Novak Djokovic o, ancora, Stefano Gabbana nel 2018: vediamo meglio che cos’è successo.
Novak Djokovic: il caso Australian Open
Novak Djokovic, tennista serbo, tra i più acclamati e premiati al mondo: 15 volte vincitore del grande Slam e per ben 7 volte al primo posto nei ranking finali ATP, classifiche mondiali dei tennisti professionisti.
Dalla personalità estroversa, l’atleta è stato spesso ospite di grandi show televisivi. Anche in Italia è stato particolarmente conosciuto, tant’è che Fiorello lo invita come ospite al 70° Festival di Sanremo, concedendogli una breve apparizione sul palco.
In occasione degli Australian Open, il primo dei quattro tornei annuali del Grande Slam, il tennista ha fatto parlare di sé su tutti i giornali, purtroppo per lui in modo tutt’altro che positivo.
Il regolamento degli Australian Open prevedeva l’obbligo vaccinale contro il Covid-19 per tutti i partecipanti, salvo casi eccezionali da documentarsi.
Il tennista Novak Djokovic si presenta in Australia, non avendo ricevuto alcuna dose di vaccino, sostenendo di essere in possesso di apposita esenzione, che si dimostra poi non veritiera.
Già a questo punto della storia sono numerose le polemiche che si alzano sul caso Djokovic da parte di altre personalità del mondo dello sport come l’allenatore Mauro Berruto o il giornalista Alessandro Antinelli.

Twitter esplode: nasce l’hashtag #DjokovicOut
Il popolo di Twitter si scatena e spunta in tendenza l’hashtag #DjokovicOut.
Novak, arrivato in Australia, viene immediatamente bloccato alla dogana e trattenuto per circa otto ore: il suo visto viene bloccato, in quanto non vaccinato. Due giorni dopo, il giudice ripristina il visto di Novak sostenendo che l’atleta non avesse avuto sufficiente tempo per discutere con i suoi avvocati prima della decisione di bloccare il suo ingresso.
Il tennista torna in campo ad allenarsi e gioca le prime partite, finchè il 14 gennaio il ministro dell’immigrazione non blocca nuovamente il suo visto e, nonostante il ricorso del tennista, il 16 gennaio viene riconfermata l’espulsione dall’Australia e la sua squalifica dagli Australian Open.
La perdita di reputazione per il tennista
Un evento che sicuramente non fa bella pubblicità al tennista, non tanto per il fatto di essersi dimostrato un accanito no-vax, ma per il fatto di aver deliberatamente tentato di aggirare le regole, mentendo sul visto e sull’esenzione.
L’accaduto desta rabbia in tifosi e altri partecipanti al torneo che, nel rispetto delle regole, hanno terminato il ciclo vaccinale per poter partecipare.
“Siamo un po’ stanchi della situazione, vogliamo tornare a parlare di tennis. Nessun giocatore è più grande dell’evento. Saranno grandi Australian Open anche senza di lui“. Sono queste le parole di Rafael Nadal, tennista spagnolo, al quinto posto della classifica ATP, prima della squalifica di Novak.
Il tennista cerca di spiegare la situazione tramite un post sulla sua pagina Instagram e spiega di avere ottenuto l’esenzione in quanto aveva recentemente contratto il Covid-19,.
Ma i più attenti si sono accorti che le date degli eventi non coincidevano e il campione era stato avvistato ad alcuni eventi pubblici nelle date del presunto contagio: un tentativo di uscirne pulito che però non migliora la situazione.
Sono numerosi i commenti da parte dei fan che non credono alla vicenda, sostenendo che non ci sarebbe stato bisogno di così tante spiegazioni, se fosse stato tutto regolare.

Una bugia può rovinare una carriera
Questa situazione spiacevole ha destato preoccupazione anche negli sponsor del tennista.
Lacoste, noto marchio di abbigliamento francese e sponsor numero uno di Novak, dopo giorni di silenzio si espone con la stampa sull’accaduto, annunciando che al più presto si metterà in contatto con il tennista per discutere dell’accaduto.
Legittima la preoccupazione del marchio di essere associato ad uno sportivo che ha tenuto tale comportamento scorretto: una chiara dimostrazione di quanto curare la propria immagine sia importante, e di come non farlo possa avere delle conseguenze negative in termini di fans ed economici.
Si attendono infatti dichiarazioni anche da parte degli altri sponsor di Novak.
Secondo Forbes, Novak incasserebbe all’incirca 30 milioni all’anno dagli sponsor: non rischia di certo poco quindi, se anche gli altri brand decidessero di ritirarsi.
Dolce & Gabbana: un fail di personal branding che affossa l’azienda
Dolce & Gabbana, casa di alta moda italiana fondata nel 1985 dagli stilisti Domenico Dolce e Stefano Gabbana, è oggi tra i migliori player italiani nel mercato del Fashion, al seguito di Prada e Armani: posizione conquistata, nonostante il brutto periodo iniziato nel 2018.
Ma cos’è successo?
L’azienda, che da sempre si racconta attenta e rispettosa delle persone, non lo ha per niente dimostrato nella campagna pubblicitaria volta a sponsorizzare l’evento #DGTheGreatShow, a Shanghai.
“Tra il dire e il fare, c’è di mezzo il mare”, si suol dire.
L’evento doveva essere una delle più grandi serate di alta moda, ma si è trasformato nel peggior incubo dei due stilisti.
Nello spot che annuncia l’evento si vede una giovane donna asiatica che cerca di mangiare piatti della tradizione italiana (pizza, spaghetti e un cannolo gigante) con le bacchette.
Lo scopo non è ben chiaro: cosa si voleva esaltare… l’italianità?
Potrebbe essere, visto che secondo Stefano Gabbana “essere italiani è l’espressione più bella di saper vivere, amare e lavorare”, come ha recentemente ripetuto in un’intervista per Il Gazzettino in occasione di una sfilata di moda in Piazza San Marco.
Forse un po’ troppo autoreferenziale e presuntuoso (e l’autoreferenzialità nel personal branding non si apprezza!): possiamo dire che ad “esaltare l’italianità” non ci sono riusciti, ed il video viene accusato di razzismo.
Questa scelta non ha onorato l’immagine “inclusiva” di Dolce&Gabbana, tutt’altro: il pubblico cinese si è sentito offeso dallo stereotipo delle bacchette, nonché dagli arredi e dall’ambientazione dello spot che raccontano la Cina del secolo scorso e non quella attuale.
La casa di moda si è trovata costretta a rimuovere il video dalla propria pagina ufficiale.
Lo scivolone di Stefano Gabbana
Alcune accuse vengono rivolte da un hater direttamente a Stefano Gabbana tramite Instagram, che risponde con parole poco lusinghiere, peggiorando ulteriormente la situazione e mostrando un’immagine di sé arrogante e poco professionale.
Gli screenshot della conversazione saranno resi pubblici dalla pagina Diet Prada.

“I video erano immaginati come un tributo che mostra semplicemente la realtà della Cina: se i cinesi si sono offesi sono loro a sentirsi inferiori, e non Dolce & Gabbana a essere razzista”.
Queste sono solo alcune delle parole che si leggono nella risposta di Stefano Gabbana, che era già solito ad usare i social in modo poco professionale.
“Da adesso, in tutte le interviste che rilascerò a livello internazionale, dichiarerò che la Cina è un Paese di m…”
e ancora:
“Cina, (un Paese) ignorante, sporco e che puzza di mafia.”
Il tono aggressivo, dispregiativo della cultura asiatica non ha potuto che riflettersi sull’immagine del brand, costringendo inoltre lo stilista a ritirarsi dai social. L’account personale di Instagram è stato chiuso e mai riaperto.
Gli stilisti sono così costretti a scusarsi pubblicamente e lo fanno tramite un video che pubblicano sul loro canale Youtube, ma è troppo tardi e finiscono per diventare ben presto un meme.
Errori senza perdono
L’affronto alla cultura asiatica e la risposta maleducata di Stefano Gabbana hanno avuto un risvolto negativo sul marchio, da cui i cinesi prendono le distanze.
La quota totale della Cina sul fatturato della maison era circa il 20%, circa 260 milioni di euro. Ne sono stati persi circa 120 milioni e per recuperarne almeno la metà è stato necessario attendere gli inizi del 2020, racconta Alfonso Gabbana in un’intervista a MFFashion.
Oltre che la perdita in termini di fatturato è stata inoltre ostacolata la crescita nel mercato cinese, a causa della brutta reputazione creatasi attorno al brand.
Ad ogni azione corrisponde una reazione
Questo episodio mette in risalto come l’immagine che i consumatori percepiscono e idealizzano attorno ad uno stilista e al suo marchio, piuttosto che ad un Influencer, condizioni fortemente il loro comportamento nei confronti dello stesso e quanto sia importante essere vigili e attenti nella costruzione della propria identità.
Un fallimento totale, di cui parla anche il libro Neuromarketing applicato di Giuliano Trenti.
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