Nell’era di Fortnite e dei milioni di utenti incollati ogni giorno davanti ai videogiochi, il termine gamification risulta essere estremamente attuale.
Anche se il suo riferimento è chiaramente al mondo aziendale, il concetto chiave rimane lo stesso dei videogames. Incentivare un comportamento, elargire dei rinforzi positivi, generare una sensazione piacevole e fornire una gratificazione istantanea.
In una parola sola, fidelizzare. Questa espressione è tanto cara a chi applica continuamente strategie di marketing, per ottenere la tanto desiderata “brand loyalty”.
Ecco quindi che la gamification diventa un mezzo unico nel suo genere: da fonte di attrazione per i nuovi clienti a strumento di engagement per i più vecchi, fino ad essere la causa della maggiore produttività dei propri dipendenti, stimolati dalla continua assegnazione di premi.
Quando nasce la gamification?
La prassi aziendale di imprese e commercianti di creare dei concorsi a premi per aumentare le vendite è sempre stata presente.
Ti ricordi la collezione dei punti da latte che venivano diligentemente tagliati dalle nostre nonne?
Arrivati a un certo punto, il contenitore dei punti veniva scaricato e pazienza se in cambio ricevevi l’ennesima padella. Avevi comunque vinto un premio. Quanto meno la tua pazienza nel ritaglio era stata ripagata (per la gioia dei produttori di latte che potevano contare sul tuo acquisto sicuro).
McDonald’s nel 1987
McDonald’s fu tra i primi a rendere strategico questo semplice concetto. Era l’anno 1987, con l’happy meal che scalava vertiginosamente la classifica dei menù di panini più venduti.
Ad ogni menù comprato venivano distribuite delle carte uguali a quelle del Monopoli, il famoso gioco da tavolo, riadattato per l’occasione con lo stile del McDonald’s.
Il gioco divenne popolare fin da subito e scatenò la caccia al trovare le più bizzarre combinazioni di carte che consentivano di vincere un premio, che spaziava da un semplice panino a una sostanziosa ricompensa in denaro.
Inutile soffermarsi sul successo di McDonald’s, che vide schizzare ulteriormente le sue vendite di panini, con un pubblico sempre più affezionato e desideroso di giocare.
La diffusione del termine arriva nel 2010
Nonostante questo, il termine Gamification divenne comune soltanto nel 2010. Il merito lo si deve a Jesse Schell, professore alla Carnegie Mellon University, il quale fu autore di un discorso destinato ad entrare nella storia, portando il gaming oltre ogni immaginario collettivo e rendendolo parte integrante delle nostre vite.
“Ti alzerai al mattino per lavare i denti e lo spazzolino potrà rilevare questa azione. Ei bravo, 10 punti per esserti lavato i denti. E potrà misurare se li hai lavati peralmeno 3 minuti. Lo hai fatto! Ottimo lavoro! Hai lavato i denti per 3 minuti. Hai sbloccato un bonus! Se li laverai ogni giorno questa settimana, otterrai un altro bonus! A chi importa? Alla ditta produttrice dello spazzolino. Più ti lavi i denti e più lo utilizzerai. Hanno un grande interesse finanziario”.
Così citava Shell, definendo uno scenario estremo e forse inavvicinabile. Ma quel che è certo è che le dinamiche tipiche dei giochi possono costituire il perno delle tecniche di fidelizzazione.
Non ci sono regole da seguire nella strategia di gamification, l’importante è avere un’ampia creatività, rispettando sempre i principi alla base del gioco.
La gamification al giorno d’oggi
Nel tempo le imprese hanno utilizzato la gamification riadattandola in base alle proprie esigenze e dimensioni.
Le startup si inventano le più originali modalità di acquisto, portando il nuovo cliente ad essere appagato non solo dal prodotto, ma anche dall’esperienza vissuta nell’acquisto del prodotto stesso.
Le grandi aziende sfruttano gli enormi benefici del gioco per creare un ambiente di lavoro sano e stimolante.
Il caso Deloitte
E’ il caso di Deloitte, che per incoraggiare i manager e i partner a completare i comuni corsi di formazione alla leadership, ha deciso di introdurre elementi ludici come badge, classifiche e status symbol che misuravano il livello di partecipazione.
La sfida è stata lanciata e nessuno ha osato tirarsi indietro. Il risultato è stato un successone, con il tempo medio di completamento del programma che è sceso del 50%.
Il (nuovo) caso McDonald’s
E’ lo stesso concetto di sfida che in questi giorni alimenta ancora una volta il re assoluto della gamification: McDonald’s.
Se ti rechi presso un punto McDrive e vieni servito in più di tre minuti, calcolabili con un cronometro consegnato al momento dell’ordine, ti viene regalato un buono omaggio per i Chicken McNuggets.
Il passaparola è stato immediato, così come la voglia di mettere alla dura prova la velocità di esecuzione degli operatori.
Del resto entrare in competizione con chiunque è un fattore determinante per l’essere umano e… continuo un’altra volta, sto per correre al McDrive.