Riuscireste a immaginare un mondo plastic-free?
Pensate agli utensili che avete in cucina, al mouse del vostro pc, ai vasi, ai biberon, agli scolapasta, ai deodoranti spray. Forse solo con tanta, ma tanta, immaginazione potremmo riecheggiare un mondo primitivo dove la plastica ancora non esisteva, e sembrava si respirasse aria più pulita.
Eppure – incredibile ma vero – la plastica è stata inventata proprio per salvare il pianeta, in un certo senso. Allora cerchiamo di capire insieme in che modo siamo passati dall’osannare al rifuggire (ahimè) questa invenzione rivoluzionaria.
E lo facciamo tramite il marketing della plastica.
Pillole di storia: l’invenzione della plastica
Il primo vero antenato semi-sintetico viene inventato nella seconda metà del XIX secolo, quando, nel 1862, il chimico inglese Alexander Parkes isola e brevetta la cosiddetta parkesina. È solo qualche anno dopo, però, che questo nuovo materiale assume dei veri e propri connotati industriali.
Voliamo negli Stati Uniti, anno 1863. L’imprenditore Michael Phelan – padre del gioco del biliardo nonché proprietario di numerose sale gioco dell’epoca – vuole trovare a tutti i costi un materiale alternativo per le sue palle da biliardo. Infatti, queste ultime (così come i pettini e i tasti del pianoforte) vengono realizzate con l’avorio ricavato dalle zanne degli elefanti: per un set completo bisogna abbattere almeno due esemplari. E la stessa sorte tocca a tartarughe e coralli, seppure per utilizzi differenti. Considerato l’inquantificabile costo ambientale da pagare e – neanche a dirlo – l’aumento del prezzo dell’avorio legato alla sua scarsità, al facoltoso Mr. Phelan viene un’idea geniale: istituire un premio di 10.000 dollari a chiunque riesca a sostituire l’avorio con un materiale dal costo inferiore.
L’inventore John Wesley Hyatt non ci pensa due volte, accetta la sfida e decide di perfezionare la formula della parkesina. Ci lavora per anni, fino a che nel 1869 non dà vita alla celluloide, un mix di cellulosa e canfora. E non si becca solo il premio: la Hyatt Manufacturing Company diventa la prima azienda al mondo a produrre plastica.
“Così come il petrolio per le balene, la celluloide è corsa in soccorso di elefanti, tartarughe e coralli; non sarà più necessario saccheggiare la terra alla ricerca di sostanze sempre più rare.” recita una pubblicità americana del 1878.
Dalla parkesina al cellophane
La prima metà del XX secolo è un susseguirsi di sintesi ed esperimenti. La parkesina, infatti, si è rivelata un materiale molto infiammabile, impossibile da lavorare ad alte temperature.
Nel 1910, nel suo laboratorio di New York il chimico belga Leo Baekeland brevetta la bakelite, la prima resina termoindurente di origine sintetica, valida sostituta di leghe e metalli. Nel 1912, il chimico tedesco Fritz Klatte dà vita al cloruro di polivinile, o polivinilcloruro, meglio noto come PVC, oggi una delle materie plastiche più utilizzate al mondo.
Solo un anno dopo è la volta della scoperta del cellophane da parte del chimico svizzero Jacques Edwin Brandenberger. Per divulgare il suo prodotto, nel 1913 fa attaccare un pezzo di pellicola trasparente corredato di una lista di tutti i suoi possibili usi sulla rivista francese Illustration. Da allora il successo del materiale per imballaggi non conosce ostacoli fino alla I Guerra Mondiale. Mister Cellophane – come viene chiamato – non si dà per vinto, e sfrutta la sua invenzione per realizzare pellicole protettive per le maschere antigas.

L’ascesa della plastica e delle fibre sintetiche
Tuttavia, sono gli anni ’30 (in poi) a trasformare la plastica dall’essere un materiale di contorno a un elemento imprescindibile della nostra quotidianità.
Perché, di fatto, la plastica ha migliorato le nostre vite, e – per certi versi – ci ha persino salvati.
In particolare, durante la II Guerra Mondiale, la plastica serve a fabbricare i paracadute di nylon, i cupolini degli aerei da combattimento in plexiglass, i rivestimenti dei cablaggi in polietilene.
Si stima che, durante il secondo periodo bellico più importante della storia contemporanea, la produzione di materiale plastico negli Stati Uniti sia aumentata del +300%.
Susan Freinkel, autrice di “Plastic: A Toxic Love Story”, scrive nel suo libro:
“Prodotto dopo prodotto, mercato dopo mercato, la plastica ha sfidato i materiali tradizionali e ha vinto, prendendo il posto dell’acciaio nelle automobili, della carta e del vetro negli imballaggi, e del legno nell’arredamento.”
Se vi state chiedendo il perché di questo successo, la risposta è semplice.
A prescindere dalla tipologia (ne esistono ben 7 tipi, lo sapevate?), la plastica si presenta come un materiale dalle eccellenti prestazioni tecniche:
- Resistenza (alla luce, alle muffe, alle sollecitazioni)
- Leggerezza
- Elasticità
- Lavorabilità
- Impermeabilità
- e – fattore ancora più importante – economicità.
Il secondo dopoguerra
La guerra finisce e l’economia riprende vigore. Sopravvissuti alla Grande Depressione e a un conflitto mondiale, gli Americani hanno voglia di tornare a godersi la vita. E spendere.
I materiali plastici che finora sono stati utilizzati per fini bellici iniziano ad entrare nelle case in vesti civili sotto forma di stoviglie, di rivestimenti per arredamento, di fibre tessili artificiali a basso costo.
Esemplare è la pubblicità delle calze di nylon prodotte dall’azienda americana DuPont nel 1948:
Le donne vengono spinte all’acquisto delle calze perché, oltre ad essere resistenti e leggere, sono facili da lavare e si asciugano rapidamente. La campagna firmata DuPont ha un tale successo che, solo nel primo anno in commercio (1940-1941), vengono vendute ben 64 milioni di paia di calze di nylon.
Dal marketing della plastica…
“Cose migliori per una vita migliore… attraverso la chimica,” scriveva l’azienda chimica nel volantino. Ed è esattamente questo il segreto vincente delle fabbriche dell’epoca: un marketing della plastica spietatamente accurato e su misura che non sponsorizza prodotti, bensì uno stile di vita migliore.
Al giorno d’oggi difficilmente riusciamo a comprenderne a fondo il valore, ma al tempo acquistare un prodotto di plastica non significava (solo) portarsi a casa un oggetto nuovo di zecca.
Significava investire denaro per una vita più semplice.
Un esempio lampante è legato al gioco da biliardo: se prima era appannaggio delle classi sociali più benestanti, dopo l’avvento della plastica e quindi l’abbattimento dei costi di produzione, tutti potevano finalmente permettersi un tavolo da gioco in casa propria.
Capiamo senza alcuna difficoltà, quindi, in che modo ha avuto origine questo legame viscerale della società con la plastica. Il marketing della plastica ha saputo individuare i giusti fattori emotivi su cui fare leva: un materiale che ha democratizzato i processi di acquisto rendendo qualsiasi oggetto accessibile alla gente comune e gettando le basi del modello culturale consumistico a cui oggi siamo abituati.
Qualche esempio di marketing della plastica dal passato
Iniziamo con una delle pubblicità relative alla plastica più famose di tutti i tempi. Anno 1955: la rivista statunitense Life celebra il “Throwaway Living” ‒ l’inizio dell’era dell’usa e getta ‒ e ritrae una famiglia che gioisce mentre lancia in aria stoviglie di tutti i tipi. Possiamo solo provare ad immaginare il cambio radicale nella vita di tutti i giorni a cui le casalinghe hanno assistito senza più piatti e posate da lavare.

“Quando un Morton Salter finisce, buttalo via e aprine uno nuovo.”

E ancora: perché riempire scomode e pesanti bottiglie di vetro quando puoi gustarti la tua bibita preferita e gettarla senza preoccupazioni?

Nella pubblicità seguente, addirittura, si parla dei bicchieri di carta come qualcosa ormai fuorimoda e datato. Le proprietà sbalorditive della plastica non hanno confini, e “restano intatte persino dopo 500 ore di acqua corrente,” si legge.

E mo’? Moplen!
Facciamo allora un salto in Italia, dove il successo della plastica impenna intorno agli anni ’60 e ’70.
“E mo’, e mo’, e mo’ e mo’, e mo’ e mo’ e mo’: Moplen! È leggero, resistente, inconfondibile, leggero, resistente. Ma Signora, guardi bene che sia fatto di Moplen”
Provate a chiedere ai vostri nonni e ai vostri genitori il significato di Moplen, e vedrete la loro reazione: il polipropilene isotattico scoperto dal chimico ligure Giulio Natta – poi Nobel per la chimica nel 1963 – cambiò la vita di tutti gli italiani, fuori e dentro gli schermi.
L’azienda produttrice Montecatini-Edison, infatti, sfrutta la simpatia e l’ironia del comico e cabarettista Gino Bramieri ingaggiandolo come testimonial per i Caroselli Moplen, una serie di spot pubblicitari televisivi dedicati al prodotto probabilmente più innovativo dell’epoca.
Qui ne trovate uno:
Possiamo affermare che la plastica ha rappresentato all’epoca quello che il metaverso simboleggia per noi oggigiorno: una rivoluzione totale – sociale, culturale, produttiva.
…alle pubblicità plastic-free
Secondo i dati pubblicati da Greenpeace:
Tutta la plastica prodotta dal 1950 al 2019 equivale al peso di un miliardo di elefanti, o 47 milioni di balenottere azzurre.
Ogni minuto, l’equivalente di un camion pieno di plastica si riversa negli oceani.
I cinquemila miliardi di pezzi di plastica presenti nei nostri mari sono sufficienti per circondare 400 volte il globo.
Ma come siamo arrivati a questo punto?
Il seguente grafico dell’EPA (U.S. Environmental Protection Agency) ci fornisce una panoramica esaustiva del problema: di tutta la plastica prodotta dagli anni ’50 ad oggi, purtroppo solo una piccolissima percentuale è stata riciclata, un’altra piccola quota è stata bruciata (il che dovrebbe idealmente avvenire presso inceneritori specializzati), e la maggior parte è finita in discarica o nell’ambiente, dove resterà per centinaia e centinaia di anni.
Secondo le stime, infatti, i processi di decomposizione della plastica variano dai 20 ai 500 anni in relazione al tipo di materiale e alla componente degli oggetti.

Senza addentrarci in tematiche ampie e delicate quali le difficoltà degli impianti di smaltimento rifiuti e la mancanza di trasparenza legata al traffico illegale di plastica nelle discariche dei Paesi più poveri, vediamo invece in che modo la società, e di conseguenza il marketing della plastica, ha cambiato il suo approccio nei confronti di quel materiale che un tempo ci ha fatto sognare in grande, ma che oggi ci fa davvero tanta paura.
Plastica: qualche esempio di marketing plastic-free
Numerosi sono i governi, le multinazionali e le organizzazioni mondiali che hanno deciso di investire in pubblicità eloquenti al fine di sensibilizzare i consumatori contro l’utilizzo incondizionato e inconsapevole della plastica.
Reuse-Reduce-Recycle è il nuovo mantra
Il processo lineare del “Take-Make-Waste” si è rivelato estremamente insostenibile per l’ambiente e persino non funzionale a livello economico per i consumatori.
Secondo le stime, una famiglia media italiana spende mensilmente tra i 40 e i 60€ di acqua imbottigliata, costo per lo più legato alla filiera produttiva e ai processi di imbottigliamento e distribuzione, non al prodotto in sé. L’acqua del rubinetto, al contrario, in Italia costa 0,001€ al litro. Posto anche di dover inizialmente investire in un sistema di depurazione e filtraggio di acqua potabile, il guadagno nel lungo-termine resterebbe ineguagliabile.
Non è solo la pubblicità ad essere cambiata, ma in primis l’atteggiamento dei consumatori, i quali chiedono sempre più assiduamente alternative plastic-free alle plastiche monouso nella speranza di porre rimedio all’inestimabile danno ambientale che abbiamo arrecato agli ecosistemi terrestri e marini, agli animali, e alle generazioni del futuro.

Inoltre, il bisogno di soluzioni non inquinanti si muove in modo pluridirezionale all’interno della società.
Da una parte, i consumatori (direzione bottom-up) esigono dalle aziende più attenzione nei confronti delle tematiche ambientali e premiano quelle che fanno la differenza con azioni sostenibili concrete. Secondo Idealo, il 70,3% degli acquirenti online sarebbe disposto a spendere di più in cambio di imballaggi e packaging eco-friendly.
Dall’altra, le aziende (direzione top-down) si trovano a rispondere sia alle normative governative in materia di economia circolare sia all’appello dei consumatori con strategie di marketing B2C in grado di provare il loro basso impatto sul pianeta. Attenzione al contagio emotivo da greenwashing, però, che punta a far leva sulla disinformazione e sensibilità dei destinatari.
Il peso della plastica: conclusioni
L’abbiamo definito un materiale eccezionalmente leggero, eppure, il suo peso si è rivelato catastrofico per il nostro pianeta.
Il WWF ha lanciato l’allarme: entro il 2050, i detriti di plastica negli oceani saranno quadruplicati.
È davvero questo ciò che vogliamo?
Il mondo sta gridando aiuto, chiedendo ai suoi consumatori comportamenti di acquisto più consapevoli e razionali. Dalle borracce in alluminio alle buste riutilizzabili in tessuto, dagli imballaggi plastic-free alle saponette di shampoo solido, sono tante le mosse che possiamo compiere: l’informazione attenta, libera e indipendente è già la prima arma per un futuro più pulito.
“È il peggiore dei tempi, ma è anche il migliore perché ci è rimasta ancora una possibilità.”
– Sylvia Earle